In scultura uso tutto ciò che ritengo possa portarmi vicino all'idea che ho in testa, prediligendo materie che possano essere modificate e cesellate continuamente in ogni fase della lavorazione.
   Penso la scultura come una forma che si manifesta attraverso la superficie ma che nasce altrove, da equilibri e forze interne ed espande verso l’esterno per andare a dirsi sui confini del corpo. E’ un affiorare alla superficie.
   E quando la superficie non c’è... è un affiorare nello spazio, nel dimensionale, nel tangibile; è un manifestarsi, un imporre la presenza.

   I materiali  che uso sono "poveri": filo di ferro, rete metallica, gesso, cemento... Sono scelti in base a cosa sono in grado di fare, senza curarsi del loro pregio.
   Le forme che cerco e che mi suonano più vere non sono immobili né immutabili, non cerco quindi materiali con queste caratteristiche. Le sculture che ne risultano sono anch’esse né immobili né immutabili, la materia è invece fragile, vitale e in movimento perché possa richiamare il più possibile la vita e perché dialoghi il più possibile con la luce che la avvolge e con lo spazio in cui si espande e che a sua volta la attraversa.
   Sento fondamentale che la materia non fermi il moto dello spazio: il consolidato non deve escludere le possibilità, il movimento, effettivo o potenziale...
   Lascio che la materia dica ciò che può dire e che parli con le proprie caratteristiche. Non fingo una materia che non c'è.
   Non c'è motivo per cui il gesso debba fingersi marmo, né motivo per cui la cera debba prendere la forma di uno stampo e non tenere la propria. La massa, il peso, la resistenza, la dolcezza che le sono proprie sono le parole che uso per comporre il mio pensiero nello spazio.
   Tutto ciò che è mondo interiore, con i suoi intrichi di connessioni e le sue coordinate, si cristallizza in queste figure, finalmente esposto in vista come lo vorrei, esteso in uno spazio libero come lo vorrei.